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La crisi che ormai da un decennio attanaglia i nostri portafogli, ha prodotto, come ben sappiamo, una drastica riduzione dei consumi in tutti i settori commerciali. Non solo, la diminuita capacità di acquisto ha determinato un costante allargamento della “forbice” tra i ceti benestanti e quelli più poveri e, ovviamente, questa dinamica non ha lasciato indenne il settore alimentare.
Infatti, se è vero che nel periodo 2007-2015 la spesa alimentare delle famiglie italiane è diminuita del 12% in termini reali, è altrettanto vero che nelle famiglie meno abbienti essa è crollata del 29%. In pratica si allarga il cosiddetto “food social gap”, ovvero il divario, sempre più ampio, nella spesa per il cibo dei più ricchi e dei meno abbienti.
Secondo una recente ricerca condotta dal CENSIS, denominata «Gli italiani a tavola: cosa sta cambiando. Il valore sociale dell’alimento carne e le nuove disuguaglianze», le differenze a tavola diventano distanze e ormai fratture. In pratica, si mangia quel che ci si può permettere.
Sono 16,6 milioni gli italiani che nell’ultimo anno hanno ridotto il consumo di carne. E 10,6 milioni hanno diminuito il consumo di pesce, 3,6 milioni la frutta e 3,5 milioni la verdura. Con la sensibile diminuzione del consumo degli alimenti di base della buona dieta italiana, spesso sostituiti con prodotti artefatti ed a basso contenuto nutrizionale, si minaccia l’equilibrio delle diete quotidiane delle famiglie e si generano nuovi rischi per la salute.
A ridurre di più il consumo degli alimenti che sono alla base della buona dieta italiana, sono le famiglie meno abbienti.
Secondo il CENSIS, infatti, nell’ultimo anno hanno ridotto il consumo di carne il 45,8% delle famiglie a basso reddito contro il 32% di quelle benestanti. Di carne bovina, il 52% delle prime e il 37,3% delle seconde. Per il pesce, il 35,8% delle meno abbienti e il 12,6% delle più ricche. Per la verdura, riducono il consumo il 15,9% delle famiglie a basso reddito e il 4,4% delle più abbienti. Per la frutta, il 16,3% delle meno abbienti e solo il 2,6% delle più ricche.
La nostra dieta nazionale, quindi, fatta di quantità adeguate di cereali, carne, pesce, frutta e verdura, olio d’oliva, formaggi, legumi, ecc., che è stata sempre considerata nel mondo un modello a cui ispirarsi perché fondamento del mangiare equilibrato, rischia di sparire dal quotidiano delle nostre tavole.
La riduzione del consumo di alimenti come carne, pesce, frutta e verdura, minaccia l’equilibrio nutrizionale della dieta delle famiglie italiane ed aumenta, così, il rischio di patologie. Un esempio su tutti: i tassi di obesità sono più alti nelle regioni con redditi inferiori e con una spesa alimentare in picchiata.
Nel Sud, dove il reddito è inferiore del 24,2% rispetto al valore medio nazionale e la spesa alimentare è diminuita del 16,6% nel periodo 2007-2015, gli obesi e le persone in sovrappeso sono il 49,3% della popolazione, molto più che al Nord (42,1%) e al Centro (45%), dove i redditi medi sono più alti e la spesa alimentare ha registrato una minore contrazione.
Dunque, se dal punto di vista nutrizionale, nell’Italia del ceto medio vinceva la dieta equilibrata disponibile per tutti, nell’Italia delle disuguaglianze crescenti, il buon cibo lo acquista solo chi può permetterselo.
Salvatore Faliero©Cibus alius
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